Molto spesso le prestazioni rese a favore delle ASD e SSD associazioni o società sportive dilettantistiche, così come in tutto il terzo settore, sfuggono, o meglio, mal si coniugano con la classica dicotomia lavoro autonomo-lavoro subordinato. È, comunque, necessario che tali prestazioni (a maggior ragione se remunerate) trovino una collocazione nel nostro ordinamento, sì da riconoscere ai lavoratori quel nucleo minimo di tutele che caratterizza ogni prestazione lavorativa in quanto tale, a prescindere dalle modalità e dal contesto in cui s'inseriscono. Proprio per assecondare tale esigenza, già la prima versione dell'art.70, D.Lgs. n.276/03 (c.d. Decreto Biagi) individuava, tra gli altri, proprio il mondo dell'associazionismo come un naturale destinatario di prestazioni occasionali di tipo accessorio. Questa nuova forma di lavoro si caratterizza, come noto, per l'esiguità economica della prestazione e per le modalità di corresponsione del compenso, attraverso i c.d. voucher, i quali, a prescindere dal loro valore nominale, garantiscono ai prestatori una copertura, seppur minima, di tipo contributivo ed assicurativo. Il fine del Legislatore, sia in riferimento alle realtà datoriali in oggetto sia (come dimostra l'evoluzione normativa in materia) in quelle caratterizzate da uno scopo lucrativo, è stato quello di creare una fattispecie lavorativa caratterizzata dalla semplicità di gestione, sia da un punto di vista amministrativo che contributivo, onde evitare l'incremento del lavoro irregolare che, in alcuni settori, appare abbastanza fisiologico vista l'inadeguatezza della normativa esistente.

EVOLUZIONE NORMATIVA E REGIME TRANSITORIO
Il lavoro occasionale di tipo accessorio nel corso degli anni ha subito numerose modifiche normative. Senza elencarle tutte, in questa sede appare sufficiente ricordare che fino al 18/07/12 i vari committenti/datori di lavoro potevano utilizzare i voucher: ● solo in riferimento a determinati settori (elencati nell'ormai abrogato art.70) nel limite di € 5000 annui; ● ovvero, solo in riferimento ad alcune categorie di lavoratori (per lo più "a rischio di esclusione sociale" come i percettori di misure di sostegno al reddito) fino al limite di € 3.000 annui. In particolare, le ASD/SSD potevano utilizzare tale forma di lavoro:

Si ricorda che, in ogni caso, il limite dei 5.000 andava riferito al singolo rapporto di lavoro e non alla totalità dei committenti; mentre il limite dei 3.000 euro andava riferito a tutti i voucher incassati dal singolo lavoratore in riferimento alla totalità dei committenti. Sebbene il vecchio art.70, D.Lgs. n.276/03 sia stato completamente modificato a partire dal 18 luglio 2012 (data di entrata in vigore della c.d. Riforma Fornero), il Legislatore ha previsto un periodo transitorio, o meglio, di ultrattività del vecchio regime, che consentiva a tutti coloro che avevano comprato dei voucher prima dell'entrata in vigore della Riforma, di utilizzarli (fino al 31 maggio 2013) secondo le regole e la disciplina testè riportata.

IL NUOVO AMBITO DI APPLICAZIONE
Il nuovo art.70, D.Lgs. n.276/03 ha completamente riformato (ed, a parere dello scrivente, anche razionalizzato) l'ambito di utilizzo del lavoro occasionale di tipo accessorio, stabilendo:

Già dalla lettura della norma è facilmente riscontrabile come il Legislatore abbia valuto far rientrare in questa forma di lavoro qualsiasi tipologia di prestazione. L’assunto trova un’importante conferma anche nell’art.7, co.2, lett.e), D.L. n.76 del 28 giugno 2013 (c.d. pacchetto Giovannini) che ha eliminato dall’art.70 l’inciso “di natura meramente occasionale”; si ribadisce, cioè, una conclusione a cui già si poteva arrivare in precedenza: le prestazioni in oggetto sono tali, a prescindere dalla tipologia di attività svolta, dal contesto in cui s’inseriscono e dallo status soggettivo e professionale del lavoratore, sempre che vengano rispettati i limiti economici indicati nel prosieguo della trattazione. L’eliminazione del concetto di occasionalità, in particolare, (e non potrebbe essere altrimenti) fuga ogni possibile confusione tra le prestazioni in parola e quelle di natura autonoma di cui all’art.51, Tuir, che presuppongono proprio l’esercizio di un’attività non professionale, ovvero, occasionale, non resa con sistematicità ed abitualità.
Rimane, tuttavia, la regola generale secondo cui il lavoratore deve avere tutti i requisiti abilitativi per svolgere una determinata attività, qualora previsti dalla normativa di settore.
L'unico limite che definisce il lavoro occasionale di tipo accessorio è quello di natura economica:
1. il prestatore, infatti, non potrà incassare, nel corso dell'anno, dei compensi superiori ad €5.000 netti, (pari ad un totale di voucher dal valore nominale di € 6.666); tale cifra andrà calcolata considerando, rispetto alla precedente normativa, la totalità dei committenti nell'anno solare e non il singolo rapporto lavorativo;
2. qualora il committente sia un imprenditore commerciale o un professionista, il singolo rapporto lavorativo non potrà generare dei compensi superiori ad €2.000 netti (pari ad un numero di buoni dal valore nominale di € 2.666); resta fermo il limite generale per il singolo prestatore di non incassare un numero di buoni dal valore nominale che ecceda i 6.666 euro, considerando la totalità dei committenti nel corso dell'anno solare;
3. per i committenti che non siano imprenditori commerciali o studi professionali, vale solo il limite generale dei 5.000 euro; pertanto, la soglia limite dei compensi erogabili al singolo prestatore varierà a seconda del numero e del valore dei buoni erogati da altri committenti nel corso dell'anno solare; va ricordato che, in ogni caso, tale soglia si abbassa a 3.000 euro (3.666 euro lordi) nel caso in cui il prestatore risulti percettore di misure di sostegno al reddito, ovvero percepisca un trattamento di cassa integrazione, di mobilità, di disoccupazione anche a requisiti ridotti (dal 2013 Aspi e Mini-Aspi).
Circa il concetto d'imprenditore commerciale, il Ministero del Lavoro13 ribadisce come, in linea generale, l’espressione risulti comprensiva di tutte le categorie disciplinate dall’art.2082 e segg. del codice civile, con esclusione, dell’impresa agricola separatamente disciplinata dal co.2 del novellato art.70. In particolare, rientra nella categoria di:

Al pari, l'Inps chiarisce che la norma trova applicazione nei riguardi sia degli iscritti agli ordini professionali, anche assicurati presso una cassa diversa da quella del settore specifico dell’ordine, sia dei titolari di partita Iva, non iscritti alle casse, ed assicurati all’Inps presso la Gestione separata di cui all’art.2, co.26, L. n.335/95. Al fine dell'individuazione della categoria dei professionisti, continua l'Istituto, occorre far riferimento all'art.53, co.1 (ex art.49, co.1) Tuir, il quale prevede che:

ALCUNE OSSERVAZIONI SUL MONDO SPORTIVO DILETTANTISTICO
In primo luogo, occorre capire se le ASD/SSD rientrino o meno nel concetto d'imprenditore commerciale. La risposta non può che presupporre una netta distinzione tra le associazioni e le società sportivodillettantistiche. Quest'ultime, infatti, sono dal punto di vista civilistico, delle società commerciali a tutti gli effetti e solo dal punto di vista fiscale vengono assimilate alle ASD. Non è un caso, infatti, che le SSD debbano obbligatoriamente iscriversi al Registro imprese tenuto dalle Camere di Commercio. Il discorso si complica leggermente per le associazioni sportive; quest'ultime, infatti, pur non essendo istituzionalmente delle imprese, hanno la facoltà di esercitare delle attività imprenditoriali di natura anche commerciale. Il caso potrebbe essere quello di una polisportiva che si trova ad organizzare i classici fattori produttivi dell'impresa (risorse umane, macchinari, uffici, ecc.) per erogare servizi al fine non di lucrare, ma di finanziare la propria attività istituzionale. Se, pertanto, ci soffermassimo alla definizione d'impresa così come delineata dall'art.2082 c.c. (ed indicata dal Ministero del Lavoro), dovremmo, inevitabilmente, ricomprendere anche questa tipologia di associazione nel novero degli imprenditori commerciali. Il concetto d'imprenditore ex art.2082 c.c., come noto, infatti, non contiene tra i propri requisiti quello del fine di lucro. In realtà, l'esclusione delle associazioni sportive dal concetto d'impresa commerciale delineato dall'art.70, D.Lgs. n.276/03, a parere dello scrivente, sembra trovare giustificazione nella lettera di quest'ultima norma che fa riferimento non all'impresa o all'attività d'impresa, bensì allo status del soggetto economico. Stando così le cose, le associazioni sportive, pur esercitando un'attività imprenditoriale, non godono dello status d'imprenditore commerciale, dal momento che l'organizzazione per così dire "aziendale" non ha, istituzionalmente, una vocazione lucrativa e diretta al mercato, ma solo strumentale al raggiungimento dello scopo ideale che le connota. L'assenza di tale status, del resto, trova conferma nella circostanza che le associazioni, anche se esercenti un'attività commerciale, non sono tenute nemmeno all'iscrizione al Registro d'impresa, bensì solo al REA (repertorio delle notizie economico e amministrative) tenuto presso le Camere di Commercio.
La seconda considerazione indotta dai chiarimenti amministrativi, riguarda i professionisti titolari di partita Iva. Poiché anche quest'ultimi possono avvalersi, nell'esercizio della propria attività, di prestazioni occasionali di tipo accessorio, sembrerebbe che anche il personal trainer di una palestra (titolare di P.Iva) possa rendere delle prestazioni alla ASD/SSD avvalendosi della collaborazione di un lavoratore accessorio. Non può essere sottovalutato, tuttavia, come tale ipotesi possa presentare dei profili d'incompatibilità con il regime fiscale dei minimi e dei superminimi, eventualmente scelto dal titolare della partita Iva.

LA DISCIPLINA
Uno dei tratti maggiormente caratterizzante il lavoro occasionale di tipo accessorio è stato quello dell'assenza di una disciplina che intervenisse a regolare il rapporto contrattuale tra le parti. L'unico aspetto caratterizzante tale profilo consisteva nella modalità di pagamento del corrispettivo che, come già anticipato, avviene a mezzo corresponsione di un determinato numero di voucher che, il prestatore andrà a cambiare in denaro corrente presso i rivenditori autorizzati. L'assenza di una disciplina di ordine civilistico, comportava la libertà delle parti di concordare la misura del compenso che poteva essere parametrato al tempo della prestazione, forfettizzato o legato al raggiungimento di un determinato risultato produttivo. Tale prospettiva, tuttavia, è stata modificata con la c.d. Riforma Fornero che, ritoccando il vecchio art.72, D.Lgs. n.276/03, ha stabilito:

Nonostante il valore nominale dei voucher sia rimasto di 10, 20 e 50 euro, la circolare n.4/13 del Ministero del Lavoro, ha inteso tale modifica legislativa nel senso di un radicale cambiamento del criterio di quantificazione del compenso del lavoratore accessorio che da “una negoziazione in relazione al valore di mercato della prestazione, passa ad un ancoraggio di natura oraria parametrato alla durata della prestazione stessa” in modo da evitare che “un solo voucher, attualmente del valore di 10 euro, possa essere utilizzato per remunerare prestazioni di diverse ore".
Al di là della libertà delle parti di stabilire un compenso orario superiore a 10 euro o al valore nominale del voucher, lo stesso Dicastero ne aveva fatto discendere che il personale ispettivo dovesse procedere ad una ricostruzione della durata della prestazione, "da effettuarsi secondo le modalità accertative proprie del lavoro dipendente".
Tale precisazione, in altre parole, proponeva, in assenza dei nuovi voucher orari, un ancoraggio della durata della prestazione alle tariffe orarie previste dalla contrattazione collettiva. Con un successivo intervento,15 tuttavia, lo stesso Dicastero ha, stabilito che:

In conclusione, sebbene il Ministero, col primo intervento, abbia fatto un deciso passo in avanti nella direzione del voucher orario, con la seconda circolare ne ha fatto uno indietro. Vista l'assenza, allo stato, di voucher che combinino all'importo nominale un determinato valore orario e, soprattutto, tenuta in considerazione l'impossibilità di ancorare la durata della prestazione alle tariffe orarie previste dalla contrattazione collettiva, non si può non concludere che il meccanismo antielusivo che garantiva il voucher orario, è rimasto, ad un anno dalla Riforma, ancora nel limbo delle buoni intenzioni.
Continuando con gli aspetti retributivi, occorre precisare che il voucher non indica un compenso netto per il lavoratore, poiché il suo valore nominale contiene sia i contributi previdenziali (pari al 13% e che confluiranno nella Gestione Separata Inps) sia i premi assicurativi (pari allo 7%) per gli infortuni sul lavoro.
Pertanto, il compenso netto del lavoratore, decurtato di un ulteriore 5% a favore del Gestore del servizio, sarà pari al 75% del valore nominale dei buoni-lavori consegnati dal committente.
Si ricorda che i voucher non contengono alcuna ritenuta fiscale, poiché il compenso da lavoro accessorio è considerato reddito neutro ai fini del calcolo dell'Irpef del prestatore.
Detto questo, gli artt.70-73, D.Lgs. n.276/03 non contengono altre regole che disciplinino direttamente questa particolare forma di lavoro; tuttavia, non può sottacersi che l'art.2, D.Lgs. n.81/08 equipara, ai fini prevenzionistici, il lavoro occasionale di tipo accessorio ad altre forme e tipologie di lavoro. Questo vuol dire che il committente anche nei confronti di questa categoria di lavoratori, dovrà adottare tutte quelle misure anti-infortunistiche, così come farebbe per un lavoratore dipendente. Ad esempio dovrà formarli ed informarli sui rischi infortunistici tipici dell'attività cui viene adibito e sulle contromisure da adottare, dovrà elaborare il documento di valutazione rischi e, se soggetto a sorveglianza sanitaria obbligatoria, sottoporli a visita medica preassuntiva.
Al di là delle cautele elencate nel D.Lgs. n.81/08, è necessario chiedersi se il committente, in determinate fattispecie, debba adottare ulteriori precauzioni volte alla tutela della salute del lavoratore accessorio. Il riferimento è ai minori ed ai lavoratori notturni, quantomeno nelle ipotesi in cui la prestazione venga realizzata con i tratti tipici della subordinazione.
Riguardo ai minori, non può che sostenersi il principio generale del divieto di adibire al lavoro (anche accessorio) un soggetto qualificabile, alla luce della L. n. 677/1967, come bambino, ovvero, che non abbia compiuto 16 anni e non abbia adempiuto all'obbligo scolastico16. Così non potrà essere adibito "un adolescente" a lavori che necessitino di sorveglianza sanitaria obbligatoria, senza avere la necessaria autorizzazione amministrativa e sottoposto preventivamente a visita medica.
Più complicato è il discorso per i lavoratori notturni, ovvero coloro che, ai sensi dell'art.1, D.Lgs. n.66/03, lavorano stabilmente, per almeno tre ore, durante il periodo notturno, o quantomeno, per 80 gg. l'anno.

Del resto, non si comprenderebbe perché ad un lavoratore, legittimamente assunto con lo strumento del voucher, pur dovendo osservare un orario di lavoro, non debba ricevere le tutele previste dal D.Lgs. n.66/03. Se non si arrivasse a tale conclusione, si arriverebbe al paradosso di legittimare un datore di lavoro che, ad esempio, adibisca per 200 ore un cameriere o un barman esclusivamente in fascia notturna, senza sottoporlo a visita medica. Guardando la fattispecie sul versante del principio di uguaglianza, si arriverebbe al paradosso di comminare due pesi e due misure a lavoratori che, nello stesso contesto aziendale, svolgano identiche mansioni, anche coi medesimi orari, solo perché uno assunto con contratto di lavoro subordinato a tempo determinato o intermittente e l'altro assunto coi voucher.

MODALITÁ DI ATTIVAZIONE DEI VOUCHER
Per attivare un rapporto di lavoro occasionale di tipo accessorio sono attualmente disponibili tre diverse modalità:
1. una procedura che prevede l’acquisto ed il pagamento del corrispettivo mediante buoni cartacei;
2. un’altra che prevede, invece, l’uso dei buoni telematici;
3. ed, infine, quella mediante l’acquisto dei voucher in tabaccheria, poste o banca.
Queste procedure, come vedremo, hanno analoga efficacia e sono indifferentemente utilizzabili dalle parti; l’unica differenza è rappresentata dalla smaterializzazione del voucher che, con la procedura telematica, viene direttamente accreditato sulla tessera magnetica (una sorta di bancomat) del lavoratore. Tralasciando quest'ultima modalità (le cui informazioni sono rinvenibili sul sito www.inps.it., nel corso della trattazione verranno analizzate.

LA PROCEDURA COI VOUCHER CARTACEI
Il committente, una volta individuato il proprio fabbisogno numerico di buoni- lavoro, dovrà effettuare la richiesta di prenotazione dei voucher cartacei, compilando il modulo predisposto dall’Inps e consegnandolo a mano presso le sedi dell'Istituto o inviandolo a mezzo fax alle sedi Regionali. In quest'ultimo caso, nella richiesta di prenotazione occorre indicare la sede provinciale Inps prescelta per il ritiro. A questo punto, il committente dovrà effettuare il versamento del relativo importo complessivo sul conto corrente postale n.89778229 intestato a: “INPS DG LAVORO OCCASIONALE ACC.”. La ricevuta di questo pagamento dovrà essere esibita alla sede INPS prescelta per il ritiro da parte dei committenti/datori di lavoro. Si fa presente che il ritiro dei voucher può eventualmente avvenire – previo conferimento di apposita delega - anche attraverso le associazioni di categoria.
L’Istituto cura direttamente la stampa dei buoni (in modalità protetta contro le falsificazioni) apponendo, su ciascuno di essi, un numero identificativo univoco. Dopo aver così provveduto all’acquisto dei buoni e prima, in ogni caso, dell’inizio della prestazione, i committenti devono effettuare una comunicazione preventiva (c.d. DNA); in particolare tale comunicazione potrà essere alternativamente effettuata:
tramite telefono al contact center Inps/Inail (numero gratuito 803.164);
per via telematica, collegandosi via internet al sito www.inps.it;
recandosi presso le sedi dell'Istituto.

Tale comunicazione dovrà dettagliatamente indicare:

i dati anagrafici del committente comprensivi del codice fiscale;
l’anagrafica di ogni prestatore col relativo codice fiscale;
il luogo dove si svolgerà la prestazione;
la data presunta d’inizio e di fine dell’attività lavorativa.

ALCUNE CONSIDERAZIONI SULLA COMUNICAZIONE
La comunicazione d'assunzione, o meglio la denuncia nominativa, oltre ad essere un passaggio fondamentale per l'attivazione dei voucher, senza la quale il lavoratore non potrà cambiarli in denaro corrente, costituisce, nei fatti, il passaggio amministrativo fondamentale per poter qualificare una determinata fattispecie come occasionale di tipo accessorio. È questo, infatti, il momento in cui il committente porta all'evidenza il nome del prestatore accessorio. Per le eventuali conseguenze sanzionatorie legate alla mancata comunicazione, è necessario osservare come il Ministero del Lavoro abbia ribadito che:

Una diversa interpretazione, si legge nella circolare:

In un successivo intervento, tuttavia, il medesimo Dicastero, è ritornato sui suoi passi, stabilendo che, nelle more della definizione delle nuove procedure telematiche per il rilascio dei voucher "restano confermate le previgenti indicazioni che non limitano temporalmente l’utilizzabilità dei voucher".
I chiarimenti ministeriali, non possono non indurre alcune considerazioni.
In primo luogo, il termine di 30 giorni non rappresenta né un termine massimo del rapporto lavorativo instauratosi tra il committente ed il lavoratore, né un termine di scadenza del voucher (il quale, attualmente, rimane attivabile fino ad un anno dal suo acquisto), ma solo il riferimento temporale di copertura assicurativa/contributiva di uno o più voucher. In altre parole, una volta comunicata la data d’inizio della prestazione in relazione ad uno o più voucher, quest’ultimi potranno coprire delle prestazioni rese fino a trenta giorni.
In secondo luogo, il dies a quo dei 30 gg. non è, ad oggi, la data di emissione o acquisto del voucher, bensì la data (indicata sulla dna o comunicata al contact center) d'inizio della prestazione.
Precisato ciò, si registra che, nella pratica, la battuta d'arresto del Ministero sui 30 gg., non trova rispondenza nei fatti; infatti, in attesa dei nuovi voucher (per intendersi, quelli orari, progressivamente numerati e datati di cui parla il nuovo art.72, D.Lgs. n.276/03) il sistema telematico ed il contact center consentono, ad oggi, solo una comunicazione di una prestazione lavorativa di 30 gg., a decorrere non dalla data di acquisto, bensì dalla data d'inizio della prestazione.
Al di là della discrasia tra quanto affermato dal Dicastero e quanto avviene nella pratica, il termine di 30 gg. appare, a parere dello scrivente, un giusto compromesso tra le esigenze datoriali di non vedersi aggravati dall'onere di comunicare ogni singola prestazione giornaliera e quelle di evitare un uso distorto ed illegittimo dei voucher.

Una volta eseguita la prestazione, il committente retribuirà il lavoratore con un numero di buoni del valore corrispondente all’importo della prestazione concordato fra le parti.
Il datore di lavoro, tuttavia, prima di consegnare al lavoratore i buoni, deve provvedere ad intestarli scrivendo su ciascun buono, negli appositi spazi:
il proprio codice fiscale;
il codice fiscale del lavoratore destinatario;
la data della relativa prestazione;
la convalida con la propria firma.
I buoni cartacei acquistati dal datore di lavoro ed eventualmente non utilizzati sono rimborsabili con le modalità di cui si dirà a breve.
Il lavoratore – dopo aver convalidato i buoni così ricevuti con la propria firma - può riscuotere il corrispettivo netto presentandoli all’incasso presso qualsiasi ufficio postale del territorio nazionale esibendo un valido documento di riconoscimento.
Il procedimento si conclude con l’accredito dei contributi sulle posizioni assicurative individuali dei lavoratori. La suddetta contribuzione sarà identificata dal codice rapporto “16” relativo, appunto, alle “prestazioni occasionali di tipo accessorio”. L’INPS, infine, provvede al riversamento all’INAIL delle quote di contributo destinato all’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali.

PROCEDURA TRAMITE ACQUISTO IN POSTA, TABACCHERIA O BANCA
A seguito di vari protocolli d’intesa tra l’Inps e le Poste Italiane, Federazione dei tabaccai ed alcune banche, è stato attivato il servizio per la vendita e riscossione dei buoni lavoro anche presso i punti convenzionati ed elencati sul sito www.inps.it. In tal modo si è provveduto a semplificare notevolmente la procedura, così schematizzata:
a. il committente, infatti, acquista i voucher presentando al rivenditore abilitato la propria Tessera Sanitaria definitiva oppure il tesserino del codice fiscale rilasciato dall’Agenzia delle Entrate.
b. per l’acquisto dei voucher (indipendentemente dal loro numero) è previsto il versamento della commissione di 1 euro al rivenditore autorizzato. È possibile acquistare in una sola operazione fino a 2.000 € di buoni lavoro, ovvero, fino a 5.000 euro presso le banche;
c. anche in questo caso sarà necessaria l'attivazione dei voucher con la comunicazione della prestazione tramite i canali sopra richiamati indicando:
il codice di controllo apposto sui voucher;
la tipologia e i dati anagrafici del committente comprensivi del codice fiscale;
l’anagrafica di ogni prestatore col relativo codice fiscale;
il luogo dove si svolgerà la prestazione;
l’arco temporale (max di 30 gg.) in cui le prestazioni si collocano.
Sempre in ordine a tale comunicazione, viene, infine, precisato dall’Inps che:
1. le prestazioni svolte dallo stesso prestatore, vanno inserite senza sovrapposizione di periodi;
2. le prestazioni devono essere comunicate in ordine cronologico, sulla base della data di fine prestazione sia nel caso facciano riferimento ad un unico prestatore, sia nel caso in cui i prestatori coinvolti siano più d’uno;
3. nel caso di più acquisti di buoni lavoro presso gli sportelli bancari o tabaccai, la data di inizio della prestazione deve essere sempre successiva a quella dell’operazione con la quale sono stati acquistati i voucher per remunerarla.

RISCOSSIONE E RIMBORSO DEI VOUCHER
Il lavoratore, fatta salva l’ipotesi di utilizzo dei voucher telematici, dovrà recarsi dai concessionari del servizio (Poste Italiane spa, tabaccai e banche abilitate) per “cambiare” e quindi riscuotere i buoni consegnatigli dal committente. Il lavoratore, già dopo due giorni, per riscuotere deve presentarsi con la propria tessera sanitaria, per la verifica del codice fiscale. Prima di consentire il pagamento, la procedura controlla che i dati del prestatore corrispondano a quanto dichiarato dal committente. Nei casi in cui il buono lavoro non sia pagabile, come accade se il prestatore non risulta registrato, il prestatore è invitato a rivolgersi alla sede INPS. La riscossione dei voucher è possibile entro un anno dal giorno dell'emissione. Riguardo al rimborso dei buoni inutilizzati, il datore di lavoro dovrà consegnarli alla Sede provinciale Inps, che rilascerà ricevuta e disporrà un bonifico per il loro controvalore al netto del 5% a favore del committente.

Il committente deve presentare la richiesta di rimborso, anche per via postale, utilizzando il modulo predisposto reperibile sul sito www.inps.it alla sede presso la quale ha acquistato i buoni lavoro, allegando copia del bollettino di versamento. Quindi i buoni non utilizzati sono ritirati dalla sede che, provvederà a verificarne l’integrità e la corrispondenza tra i dati relativi al bollettino di versamento e i voucher di cui si chiede il rimborso. In caso di smarrimento o furto di buoni lavoro, occorso ad un committente, consegnando copia delle denuncia alle autorità competenti, la Sede Inps può effettuare la stampa di un duplicato dei buoni lavoro, previa verifica dei dati relativi all'acquisto e della validità dei voucher. Se lo smarrimento o il furto di buoni lavoro interessa un prestatore, consegnando copia delle denunce alle autorità competenti, la Sede può effettuare la stampa di un duplicato dei buoni lavoro, previa verifica della dichiarazione di inizio prestazione effettuata dal committente e della pagabilità dei voucher.

REGIME SANZIONATORIO
Preliminarmente, occorre osservare che la normativa sui voucher non contiene un apparato sanzionatorio ad hoc, ma si nutre di quello generalmente applicato in materia di lavoro e legislazione sociale. La principale ipotesi sanzionatoria è legata all’omessa comunicazione preventiva o Dna; in tali casi il committente sarà punito con la c.d. maxisanzione per lavoro "nero" (da 1.500 a 12.000 euro più una maggiorazione giornaliera da 35,50 a 150 euro), sempre che la prestazione abbia i caratteri della subordinazione e non sia resa nell'ambito domestico. Si ricorda che in tali casi, il trasgressore, ai fini dell'ammissione al pagamento della misura minima della sanzione (1.500+35,50 per ogni giorno di nero), verrà diffidato a regolarizzare il lavoratore sia dal punto di vista amministrativo che contributivo/assicurativo. La medesima conseguenza sanzionatoria, precisa il Ministero del Lavoro19, è prevista per il committente che utilizzi il lavoratore oltre i 30 gg. sopra richiamati, ovvero, quando la prestazione venga resa al di là del termine di fine prestazione indicato nella Dna.
Va, infatti, ribadito che il termine massimo dei 30 gg., pur non essendo a regime, già viene di fatto preso come riferimento dal sistema telematico e dagli operatori del call-center. In altre parole, il committente che acquisti un cospicuo numero di voucher per un singolo prestatore, non potrà attivarli indicando una data di fine prestazione che travalichi i 30 gg. dall'inizio della prestazione. Pertanto, se il rapporto, ad esempio, si protrarrà per 3 mesi, il committente, se vuole evitare le conseguenze della maxisanzione, dovrà procedere alla comunicazione della prestazione, almeno ogni 30 gg.
Più attenuato è, invece, l'impatto sanzionatorio legato al superamento dei limiti economici delle prestazioni accessorie rese nel corso dell'anno dal lavoratore. Il riferimento è sia al superamento dei 5.000 euro annui, considerata la totalità dei committenti, che dei 2000/5000 euro, considerato il singolo rapporto lavorativo. In tali casi, gli organi di vigilanza provvederanno a ricondurre la prestazione lavorativa nell'alveo della subordinazione, sempre che ne contenga le caratteristiche. Ne consegue il regime sanzionatorio legato alla:
mancata comunicazione al Centro per l'Impiego;
omessa consegna della lettera d'assunzione e delle buste paga;
mancata iscrizione del lavoratore sul libro unico del lavoro.
Per evitare tali conseguenze sanzionatorie, è necessario che il committente si faccia rilasciare dal lavoratore l'autocertificazione ex art.46, co.1, lett.o), DPR n.445/00, in ordine al non superamento degli importi massimi previsti.

Si ricorda che il limite economico viene riconosciuto come unico elemento qualificatorio della fattispecie; pertanto le modalità o la tipologia di prestazione non potranno non potranno costituire, di per sé, degli elementi per il disconoscimento del lavoro accessorio in termini di subordinazione, sempre che la prestazione venga regolarmente comunicata e rispetti i limiti economici sopra indicati. In ultimo, non può essere sottovalutato un altro elemento, a parere dello scrivente, qualificatorio della fattispecie che è costituito dalla modalità di pagamento del compenso attraverso i voucher. Una fattispecie lavorativa attivata e comunicata come prestazione occasionale di tipo accessorio, ma seguita da frequenti e cospicui pagamenti in contanti, a parere dello scrivente, non potrà non esser presa in considerazione ai fini qualificatori, o meglio riqualificatori, ancorché la prestazione sia regolarmente comunicata ed a prescindere dal superamento dei limiti economici.

 

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