PERCHÈ CONVIENE TRASFORMARE UN'ASSOCIAZIONE SPORTIVA IN S.S.D.

Ecco tutte le opportunità (e la possibilità) di trasformare l’Associazione Sportiva non riconosciuta in Società Sportiva Dilettantistica

E’ ormai ampiamente noto che la figura della società sportiva dilettantistica che può godere di tutti quei privilegi che, antecedentemente, erano una prerogativa delle sole associazioni sportive dilettantistiche.
Vengono in mente, prima di tutto, le agevolazioni di natura fiscale, ma non bisogna dimenticare anche i vantaggi che attengono alla possibilità di partecipare alle gare pubbliche finalizzate all’affidamento della gestione di impianti sportivi.
Ebbene, oggi anche le società sportive dilettantistiche possono godere di tutto ciò con notevoli vantaggi, sotto altri profili, rispetto alle associazioni.

LA SOCIETÀ SPORTIVA DILETTANTISTICA (S.S.D.)

Vale la pena di esporre soltanto una brevissima sintesi in merito alle principali caratteristiche delle società sportive dilettantistiche.
Il comma 17 del predetto art. 90, dispone che “Le società e associazioni sportive dilettantistiche (…) possono assumere una delle seguenti forme: a) associazione sportiva priva di personalità giuridica disciplinata dagli articoli 36 e seguenti del codice civile;
b) associazione sportiva con personalità giuridica di diritto privato ai sensi del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 10 febbraio 2000, n. 361;
c) società sportiva di capitali o cooperativa costituita secondo le disposizioni vigenti, ad eccezione di quelle che prevedono finalità di lucro”.

Il successivo comma 18, poi, così come modificato in forza delle disposizioni di cui alla Legge n. 128 del 2004, indicando i requisiti dello statuto della società sportiva dilettantistica, ne individua le caratteristiche ed i contenuti:
- la forma scritta;
- l’indicazione della sede legale della società;
- l’indicazione della sua denominazione che deve contemplare “la finalità sportiva e la ragione o la denominazione sociale dilettantistica”;
- la previsione, nell’oggetto sociale, dell’“organizzazione di attività sportive dilettantistiche, compresa l’attività didattica”;
- l’indicazione degli organi dotati della rappresentanza legale della società; - l’assenza dello scopo di lucro, con specificazione che gli utili non potranno essere divisi tra i soci, nemmeno in via indiretta;
- l’obbligo di redazione del bilancio annuale e con previsione delle modalità di approvazione dello stesso da parte degli organi sociali;
- la determinazione delle modalità di scioglimento;
- l’obbligo di devoluzione ai fini sportivi del patrimonio, nel caso di scioglimento.

Occorre, poi, tenere conto anche del divieto, posto a carico degli amministratori, “di ricoprire la medesima carica in altre società o associazioni sportive dilettantistiche nell’ambito della medesima federazione sportiva o disciplina associata se riconosciute dal CONI, ovvero nell’ambito della medesima disciplina facente capo ad un ente di promozione sportiva”.

I VANTAGGI DELLA S.S.D. RISPETTO ALLA A.S.D.

A questo punto è possibile fissare un punto fermo: gestire impianti sportivi con una società sportiva dilettantistica piuttosto che con una associazione sportiva dilettantistica è molto conveniente se non addirittura necessario.
Infatti, fermo rimanendo che la società sportiva, come detto, gode degli stessi privilegi di cui gode l’associazione sportiva, essa offre notevoli ed ulteriori vantaggi derivanti dalla disciplina di diritto civile prevista per le società di capitali, particolarmente favorevole rispetto alla disciplina prevista per le associazioni non riconosciute.
Occorre partire dal presupposto che le associazioni sportive dilettantistiche, nella gran parte dei casi, sono riconducibili alla figura delle associazioni non riconosciute, disciplinate dagli artt. 36 e segg. del codice civile.
La disciplina codicistica delle associazioni non riconosciute è piuttosto scarna, circostanza che mette fin da subito in evidenza come tali associazioni non siano adatte alla realizzazione di attività complesse quali quelle che attengono alla gestione di un impianto sportivo.
Gli impianti sportivi, infatti, sono ormai divenuti strutture complesse nelle quali si esercitano attività sportive, para-sportive ed attività complementari.
E’ assolutamente frequente che accanto all’impianto sportivo in senso stretto (piscina, centro fitness ecc.), e nel medesimo contesto, siano realizzate strutture per attività complementari quali centri benessere, ristoranti e addirittura alberghi/foresterie per il turismo sportivo e non solo.
Per non parlare di quelle operazioni articolate (per esempio realizzate mediante project financing) per le quali, nell’ambito di una iniziativa finalizzata alla realizzazione di un centro sportivo, si costruiscono anche opere che nulla hanno a che vedere con lo sport ma che hanno con esso un collegamento funzionale (per esempio sul piano degli equilibri economicofinanziari) e, pertanto, vengono gestite dal medesimo soggetto che gestisce il centro sportivo (parcheggi, cinema, esercizi pubblici ecc.).
In ogni caso, è agevolmente intuibile che anche per l’ipotesi di gestione dei più piccoli centri sportivi nei quali si fa sport e solo sport, il giro d’affari tende ad essere sempre più cospicuo: molti (per fortuna) sono gli utenti e quindi notevoli sono i ricavi, ma molte sono anche le spese (per forniture, per assicurazioni, per consulenze, per dipendenti ecc.) e quindi, anche i debiti.
E’ evidente, quindi, che lo strumento dell’associazione non riconosciuta è assolutamente inadeguato per la gestione di impianti sportivi.
A costo di sollevare un certo allarmismo che, tuttavia, sembra più che giustificato, mi spingerei fino a dire che lo strumento dell’associazione sportiva non riconosciuta sia addirittura pericoloso.

Infatti, in estrema sintesi, i principali rischi a cui è soggetta un’associazione non riconosciuta sono i seguenti:
1) atteso che, nell’ambito dell’associazione, vige il principio c.d. “una testa un voto”, sono agevoli e, certamente, possibili ribaltamenti di fronte inerenti la gestione della medesima associazione e, quindi, inerenti il controllo delle attività ad essa affidate (come dire che un consiglio direttivo che ha realizzato investimenti con dispendio di energie e di denaro potrebbe trovarsi improvvisamente “spodestato”, a seguito di una sola assemblea dei soci alla quale, magari, potrebbero aver partecipato anche i frequentatori dei corsi di nuoto associati per effetto della semplice iscrizione ad un corso);
2) le obbligazioni delle associazioni non riconosciute (che non hanno la c.d. autonomia patrimoniale perfetta), sono garantite, oltre che dal patrimonio della medesima associazione (il c.d. fondo comune), anche dal patrimonio personale di coloro che hanno agito in sua rappresentanza.

Con riferimento al secondo punto occorre tenere conto della disposizione di cui all’art. 38, cod. civ., che, testualmente, dispone:
“Per le obbligazioni assunte dalle persone che rappresentano l’associazione i terzi possono far valere i loro diritti sul fondo comune. Delle obbligazioni stesse rispondono anche personalmente e solidalmente le persone che hanno agito in nome e per conto dell’associazione”.

La definizione delle associazioni sportive come “pericolose” potrebbe essere considerata estrema ma è comunque giustificata: è sufficiente pensare agli effetti della sopra riportata norma, soprattutto tenendo conto dell’entità delle obbligazioni che, talvolta, nella gestione di un impianto sportivo, occorre assumere.

I soggetti il cui patrimonio personale può essere “attaccato” dai creditori dell’associazione sono, in linea di massima, i membri del Consiglio Direttivo ovvero, in ogni caso, coloro che hanno agito per conto della medesima associazione anche senza essere investiti della carica amministrativa.

Al fine di chiarire la portata concreta del suddetto rischio, a mero titolo di esempio, riporto un paio di massime giurisprudenziali che illustrano il regime applicabile alle associazioni non riconosciute, nella fattispecie, con riferimento ai rapporti di lavoro dalle stesse instaurati: “La responsabilità personale e solidale, ex art. 38, cod. civ., di colui che agisce in nome e per conto dell’associazione non riconosciuta è collegata non alla titolarità della rappresentanza dell’associazione, ma all’attività negoziale concretamente svolta per conto di essa; ove con tale attività siano stati instaurati rapporti di lavoro subordinato per lo svolgimento di prestazioni in favore dell’associazione, il lavoratore può far valere i corrispondenti crediti direttamente nei confronti di tali soggetti che hanno agito in nome e per conto dell’associazione, senza essere tenuto alla preventiva escussione del fondo comune” (Cass., sez. lav., 20.7.1998, n. 7111, in Riv. legisl. fisc., 1999);

“Delle obbligazioni assunte nei confronti dei terzi da un associato di un'associazione non riconosciuta il quale, ancorché sfornito dei relativi poteri rappresentativi, abbia agito in nome dell'associazione, rispondono sia il fondo comune dell'associazione sia, personalmente e solidalmente, le singole persone che hanno agito in nome e per conto dell'associazione, secondo quanto stabilito dall'art. 38 c.c. (...) (Fattispecie relativa ad un rapporto di lavoro subordinato alle dipendenze di un'associazione sindacale instaurato e gestito da associati privi di poteri rappresentativi)” Cass. civ., Sez. lavoro, 16/05/2000, n. 6350, in Mass. Giur. It., 2000).

La posizione di coloro che agiscono in nome e per conto dell’associazione (ovvero, secondo alcuni orientamenti giurisprudenziali, la posizione di tutti gli associati) è particolarmente delicata anche nel caso di fallimento: “Il fallimento di una associazione non riconosciuta avente lo status di imprenditore commerciale non produce indistintamente il fallimento di tutti i suoi associati ma solo degli associati che siano illimitatamente responsabili secondo la disciplina propria delle associazioni non riconosciute, ossia, a norma dell’art. 38, 1º comma, ultima parte, c.c., delle persone che hanno agito in nome e per conto dell’associazione” (Cass., sez. I, 18.9.1993, n. 9589, in Fallimento, 1994, 151);

“Qualora un’associazione non riconosciuta eserciti un’impresa commerciale è qualificabile come società di fatto tra gli associati; pertanto il suo fallimento si estende a tutti i membri in quanto soci illimitatamente responsabili” (T. Palermo, 24.2.1997, in Giur. comm., 1999, II, 440).

Alla luce di tutto quanto sopra esposto, è evidente l’opportunità che la gestione di attività economiche complesse, caratterizzate da costi e ricavi elevati, sia affidata ad una società sportiva dilettantistica (per esempio costituita nella forma di S.S.D. a r.l. ovvero di S.S.D. p.a.) che, pur non dovendo rinunciare alle agevolazioni storicamente riconosciute alle A.S.D., è società di capitali e, in quanto tale, è dotata di una struttura ed una regolamentazione a tal fine più adeguate.

La S.S.D. (per esempio a r.l.), infatti, oltre ad essere contraddistinta da una puntuale disciplina legislativa inerente le quote sociali, gli organi sociali, l’amministrazione e il controllo sull’amministrazione, il bilancio ecc. è dotata di personalità giuridica, con la conseguenza che, delle obbligazioni sociali, risponderà solo ed unicamente la società con il proprio patrimonio senza alcuna esposizione per il patrimonio personale degli amministratori e/o dei soci.

Ciò significa che i grossi inconvenienti propri dell’associazione, nel caso di S.S.D. non sussistono:
- il consiglio di amministrazione (o l’amministratore unico) è nominato dall’assemblea dei soci i quali potranno partecipare alla decisione inerente tale nomina nei limiti del valore della propria quota sociale;
- in concreto, il socio risponde delle obbligazioni sociali nei limiti della propria quota di capitale sociale (come dire che se ha sottoscritto il 10% del capitale sociale corrispondente ad un valore di € 1.000,00, il creditore della società non potrà mai pretendere più di mille euro da quel socio il cui patrimonio personale non sarà mai messo a rischio).

TRASFORMAZIONE DELLA A.S.D. IN S.S.D.

Occorre affrontare una ultima questione che merita approfondimento anche in ragione della considerazione di fatto di seguito esposta.
Si è detto come sia opportuno che la gestione di un impianto sportivo sia realizzata mediante un soggetto costituito nella forma di Società Sportiva Dilettantistica piuttosto che nella forma di Associazione Sportiva Dilettantistica.

Tuttavia, è pur vero che ci sono molte A.S.D. che già gestiscono impianti sportivi, impianti che nella gran parte dei casi sono di proprietà pubblica e la cui conduzione è stata resa possibile grazie all’aggiudicazione ottenuta previa partecipazione ad una procedura di gara ad evidenza pubblica.

E’ evidente che ad una A.S.D. che gestisce un impianto sportivo pubblico, visti i predetti presupposti, non possa essere consentito di costituire un soggetto giuridico ex novo (vale a dire una S.S.D.) e, quindi, sostituire alla A.S.D. tale soggetto giuridico nuovo nella gestione dell’impianto: sarebbero palesemente violate le regole inerenti l’affidamento di contratti pubblici mediante procedure ad evidenza pubblica.
L’unico strumento possibile è rappresentato dalla trasformazione per la quale si ha un passaggio diretto ed immediato, senza soluzione di continuità, di tutti i rapporti intrattenuti dalla A.S.D. a favore della S.S.D.
E’ stato così introdotto il tema della trasformazione dell’Associazione Sportiva Dilettantistica in Società Sportiva Dilettantistica.
A questo punto occorre valutare, sul piano tecnico-giuridico, la possibilità di compiere questa trasformazione.
Invero, in epoca più risalente, tale possibilità non era univocamente riconosciuta.
Attualmente, anche in virtù di alcune recenti riforme legislative, si registra una maggiore apertura (anche in ambito giurisprudenziale) rispetto a tale trasformazione.
Vista l’attuale sussistenza di maggiori argomenti interpretativi favorevoli alla trasformazione da associazione non riconosciuta a società di capitali, ho avuto esperienza diretta del fatto che anche i notai (che rappresentano la figura che deve acconsentire alla trasformazione in quanto le viene demandata la materiale realizzazione della trasformazione stessa) siano maggiormente propensi per tale soluzione.
Infatti, occorre mettere in evidenza che la trasformazione, a seguito della riforma del diritto societario di cui al d.lgs. n. 6 del 2003 e s.m.i., è espressamente prevista ex lege con riferimento alle associazioni riconosciute.

In particolare, l’art. 2500-octies, cod. civ., nel suo primo comma, dispone che “I consorzi, le società consortili, le comunioni d’azienda, le associazioni riconosciute e le fondazioni possono trasformarsi in una delle società disciplinate nei Capi V, VI e VII del presente Titolo” (i.e. società di capitali quali la società a responsabilità limitata e la società per azioni.

Quanto alle associazioni non riconosciute (categoria alla quale, più tipicamente, appartengono le A.S.D.), la possibilità di trasformazione in società di capitali non è espressamente prevista ma può essere dedotta per analogia, a maggior ragione per le associazioni sportive a favore delle quali operano alcune argomentazioni basate su specifiche disposizioni legislative che le riguardano direttamente.
Sul punto, si rileva che secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale la facoltà di trasformazione è stata ammessa con particolare riguardo alle associazioni sportive non riconosciute per effetto della legge 23 marzo 1981, n. 91, recante le “Norme in materia di rapporti tra società e sportivi professionisti”.

Riportiamo di seguito alcune massime giurisprudenziali rappresentative di tale orientamento:
“La l. 23 marzo 1981, n. 91 ha ampliato il disposto dell'art. 2498 c. c., prima limitato alla trasformazione della società in nome collettivo e in accomandita semplice, consentendo pertanto anche alle associazioni sportive non riconosciute di trasformarsi in società aventi personalità giuridica mediante il procedimento previsto dal suddetto art. 2498 c. c.” (App. Firenze, 19.1.1982, in Riv. Notar., 1982, 336);
“E’ ammissibile la trasformazione di un’associazione sportiva in società per azioni ed il valore della cessione dei contratti di lavoro dei giocatori può essere compreso come, avviamento commerciale nella relazione di stima del patrimonio sociale” (Tribunale Siena, 23.3.1982, in vita not. 1984, 458);
“Il passaggio di un sodalizio sportivo dalla natura di associazione non riconosciuta a quella di società per azioni, si voglia configurare come trasformazione o come fusione per incorporazione, comporta il trapasso nei rapporti attivi e passivi del preesistente organismo” (Tribunale Catania, 27.12.1983, in Riv. Dir. Sport 1984, 677);
“Non può essere omologata la delibera di trasformazione di una associazione sportiva in società per azioni in assenza della previa affiliazione della società, ex art. 10 legge n. 91 del 1981, ad una o più federazioni sportive nazionali, a nulla rilevando la pregressa affiliazione federale della stessa associazione” (App. Napoli, 28.5.1995, in Dir. e Giur., 1995, 163).

Analogamente si è espresso anche il Tribunale di Napoli con sentenza del 11.2.1998, nella cui motivazione, testualmente, si legge: “Per esemplificare va ricordato che proprio in materia di società sportive, al fine evidente di agevolarne la costituzione e consentire agli enti che avevano contratti in corso con giocatori professionisti di adeguarsi alle norme di legge, è stata consentita la trasformazione delle associazioni sportive in s.p.a. o s.r.l., a mezzo la previsione contenuta nel combinato disposto degli artt. 15, secondo comma e 17 della legge surrichiamata” (i.e. la citata legge 91/1981).

Occorre tenere conto anche del fatto che la giurisprudenza si è espressa ammettendo tale tipo di trasformazione in via del tutto generale e, quindi, anche a prescindere dalle innovazioni normative apportate dalla più volte citata legge n. 91 del 1981.

Infatti:
“La deliberazione di una associazione sportiva non riconosciuta di trasformarsi in una società di capitali, pur in difetto di una specifica previsione normativa che lo consenta, è legittima quando ne sia stata accertata la conformità alle norme di ordine pubblico e a quelle statutarie e la corrispondenza dello scopo perseguito dagli associati a quello assunto dal nuovo ente sociale” (Trib. Lecce, 27.4.1982, in Vita Notar., 1984, 457).

Per concludere questa trattazione, il suggerimento è quello di iniziare a valutare i passaggi necessari per realizzare la trasformazione (anche avuto a riguardo alle delibere degli organi dell’associazione) e di rintracciare un notaio che recepisca l’orientamento secondo il quale tale trasformazione è giuridicamente possibile.


 










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